LA #CINEPRESA IN LETTERATURA - 23

La rivoluzionaria invenzione della macchina da presa si inserì nel più ampio discorso che prosegue tutt'oggi e che ebbe inizio con la seconda rivoluzione industriale circa il nuovo rapporto stabilitosi tra uomo e macchina.
In Italia non mancarono figure di rilievo che accolsero in maniere disparate le nuove tecnologie: se da un lato i Futuristi si schieravano a spada tratta verso il futuro e il progresso nel campo tecnologico, dall'altro c'è anche chi, come Pirandello, riflette sulle conseguenze pratiche che queste nuove invenzioni possono avere.

Un esempio di questo più ampio discorso è il romanzo 'Quaderni di Serafino Gubbio operatore (si gira)': l'opera ha come soggetto un operatore di macchina cinematografico che finisce per essere totalmente alienato dal suo impiego meramente meccanico, tanto da arrivare a dire "Finii d'esser Gubbio e diventai una mano".




"Mani, non vedo altro che mani, in queste camere oscure; mani affaccendate sulla bacinella; mani, cui il tetro lucore delle lanterne rosse dà un’apparenza spettrale. Penso che queste mani appartengono ad uomini che non sono più; che qui sono condannati ad essere mani soltanto: queste mani, strumenti. Hanno il cuore? A che serve? Qua non serve. Solo come strumento anch’esso di macchina, può servire, per muovere queste mani. E così la testa: solo per pensare ciò che a queste mani può servire. E a poco a poco mi invade tutto l’orrore della necessità che mi si impone, di diventare anch’io una mano e nient’altro. Vado dal magazziniere a provvedermi la pellicola vergine e preparo per il pasto la mia macchinetta. Assumo subito, con essa in mano, la mia maschera di impassibilità. Anzi, ecco: non sono più. Cammina poi, adesso, con le mie gambe. Da capo a piedi, son cosa sua: faccio parte del suo congegno. La mia testa è qua, nella macchinetta, e me la porto in mano”.

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